Tutta l’infelicità degli uomini viene
dal non saper restare tranquilli in una stanza
(Blaise Pascal)
La notizia è questa: che apre uno spazio (privato ma anche aperto al pubblico) alla cui realizzazione mi sono dedicato negli ultimi mesi, e che spiego succintamente qui sotto. La Stanza (ci sono cieli dappertutto) è un luogo per le arti, un laboratorio di pratiche e linguaggi. Un luogo di creazione, ma anche di ricerca e di raccoglimento, di felicità, di pellegrinaggio. Un modo di giocare con la verità.
L’idea della Stanza è sorta naturalmente, scoprendola dietro i tramezzi e i controsoffitti, e cercando di riportarla alla sua bellezza e purezza originaria. Ne ho parlato cercando complicità con amiche e amici (senza le quali e i quali mai nessun pensiero è possibile, né tantomeno degno di una forma) o ora la gestisco insieme ad amiche, amici e collaboratori (al sito in costruzione www.stanza.cloud, stanno lavorando Enrico Romano e Franny Thiery).
L’idea è questa. Quattro volte l’anno, per la durata di una stagione, viene scelto un tema che artisti, poeti, scrittori, video-maker, filosofi e pellegrini sono invitati a esplorare e sviluppare in diverse direzioni. Nel corso dell’evento stagionale si susseguono esposizioni collettive e personali, letture, laboratori, seminari, performance, concerti, giochi, proiezioni di film e altre iniziative pertinenti. Altre iniziative interstiziali posso comunque accadere.
Tema di apertura della Stanza è la stanza stessa, il concetto di stanza. Perché “stanza”?
A partire da Dante, “stanza” non indica più solo lo spazio in cui il poeta elabora la propria ispirazione e il proprio “fantasma” – il proprio dialogo con l’Assoluto – ma il nome della forma stessa della poesia. Essa è il luogo simbolico di un andirivieni tra interno e esterno, tra visionarietà privata ed esteriorità pubblica, proprio come lo strano destino e la buffa peripezia, oggi sempre più astratta e de-realizzata, che è fare e pubblicare testi, fare e mostrare opere, etc. etc. Ammesso che l’entrare in una stanza non sia stato già da sempre un modo per uscire, la ricerca di un’estasi. Estasi: l’uscire in un’entrata senza fine.
Ci sono cieli dappertutto. Ci sono stanze dappertutto.
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La Stanza si trova a Narni, in Umbria, a un’ora da Roma. È all’interno di una struttura che prolunga (ma precede nel tempo) un convento francescano del Trecento, affacciata sulla valle del Nera alle spalle della cattedrale e del Teatro Comunale. [Per informazioni: stanza@stanza.cloud – Stanza, via del Campanile 13-15 Narni (TR)]
Ma adesso vi racconto, così come mi viene, l’inizio della storia della Stanza
Tutto comincia sempre con un trasloco, anche nascere e morire. Da un trasloco è nata la Stanza, uno spazio restituito alla sua forma originaria grazie all’abbattimento (la “decostruzione”) di tramezzi e controsoffitti che la nascondevano.
Parte della struttura trecentesco del seminario di san Francesco, ma anteriore ad esso, dal Settecento divenne un oratorio. La penultima parete, già in origine separata dal soffitto, faceva da schiena a un altare: l’abbiamo lasciata, sorta di monolite quadrato con una finestrella ovale che abbiamo scoperto per caso nel muro, ora di nuovo attraversata dalla luce che viene dal vetro sopra la porta.
Ma è stato l’abbattimento dell’ultima parete a compiere il miracolo della luce. C’era meraviglia anche nei muratori: il vuoto che si creava nello spazio senza finestre si riempiva via via della luce dilagante, e la ”stanza” assumeva la sua vera forma. Sembrava di assistere alla rappresentazione dell’insegnamento più antico del Buddha, l’inizio del Sutra del Cuore (Prajnaparamitarhidaya): “la forma è vuoto e il vuoto è forma, la forma non è altro che vuoto, il vuoto non è altro che forma…”.
Era il 24 febbraio, lo stesso giorno in cui all’alba una grande nuvola bianca di nebbia scorreva lenta sul fiume e la valle, e della montagna di fronte si vedevano solo le cime e gli speroni di roccia anch’essa bianca, protesi su quel nulla di zucchero filato – come, in certi sublimi paesaggi cinesi e giapponesi in bianco e nero, i romitaggi dei monaci sulle montagne impervie. Un’idea di vita consacrata si manifestava anche così, togliendo muri, suggerendo un’unione tra interno e esterno.
Questa cronaca inizia con la parola trasloco. Il fatto che anche la parola “metafora” possa tradursi così (metaphorein vuol dire trasportare) non suggerisce l’idea che ogni opera, ogni testo, forse ogni rimembranza e ogni visione possa essere (più o meno metaforicamente) una didascalia, una traduzione o un commento del proprio ultimo trasloco – trasportare, trasformare se stessi?
La cascata di luce rivelò dunque le volte, le capriate, gli archi, le lesene, i capitelli, pezzi (irrecuperabili) di affreschi a tempera – un cielo di un azzurro intenso con stelline. Scoprimmo resti di marmo rosso e ocra sotto le stratificazioni dei pavimenti successivi (uno peggiore dell’altro), mentre altre cose invisibili – questo era il piano – sarebbero divenute visibili…
Questa è la foto fatta con un telefonino a buon mercato da un non fotografo alla fine o quasi dei lavori. Manca la tinteggiatura delle pareti, ma è già bellissimo quel color cipria scura con le tracce di calce idrata. Il nome Stanza è venuto dopo, ma l’intenzione era dall’inizio quella di offrire lo spazio a una condivisione giocosa, cioè all’arte in tutte le sue forme.
L’ormai celebre frase di Blaise Pascal (“ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini viene da una cosa sola, il non saper restare tranquilli in una stanza”, Pensées, 139) suggerisce la vocazione della stanza a essere luogo di scoperta e di destrutturazione di sé, di cambiamento. Pascal lo scriveva in un’epoca in cui il silenzio era vero e corposo, ma l’esperienza sempre attuale di stare in una stanza e ascoltare il proprio respiro in una solitudine che in realtà non esiste, perché è abitata da miriadi di esseri e di percezioni, è la scoperta che la stanza, oltre che fuori, è dentro di noi. Un’idea della stanza come luogo in cui possono accadere molte cose, anche salvifiche, è del resto molto antica. Lo stesso Gesù Cristo la proponeva nei Vangeli (cfr. Matteo, 6, 6.).
La stanza è l’“angolo custode” in cui depositare il corpo e dimenticarsene, trovando l’apertura nell’infinito immaginario. Anche per questo la stanza è divenuta immagine dell’interiorità, luogo di relazione con il Divino e quindi di salvezza, di esercizio e cura dell’anima che ha il suo corrispettivo in ogni tradizione spirituale. In origine è simile alla grotta del mistico e alla cella del monaco. Nella tradizione cristiana ci sono molte varianti, e una delle più famose è la serie di ritratti di San Girolamo (da Antonello da Messina a Dürer e oltre), nel suo “eremo” o nel suo “studio”, dove è spesso visitato dagli Angeli.
Il fascino della parola stanza cresce nel tempo e si moltiplica nei suoi vari sensi. Almeno a partire da Dante la parola “stanza” non designa più solo il luogo del ritiro in cui incontrare l’Assoluto e parlare con Dio, ma anche quello dell’ispirazione del poeta, che con monaci e mistici condivide il fatto di non avere paura di incontrare se stesso e la propria anima.
“In alcuni casi gli artisti in genere, e specialmente i poeti, avevano una parte di sé assolutamente connaturata alla stanza, che implica studio, meditazione, ma anche vivere appartati, a volte anche separati dal mondo, ma vivi e creatori, se pure all’interno di una stanza, che è un mondo chiuso solo in apparenza. Allo stesso tempo i codici espressivi si accavallano, e “stanza” in poesia, oltre al luogo che tutti conosciamo, diviene la forma del comporre che si intende nella sua accezione metrica, come strofa (in tempi recenti), mentre in passato s’intendeva un’ampia parte di un poema; così come il termine s’incontra ancora per designare sezioni di musica sacra e inni”[1].
La stanza per il poeta è un luogo in cui raccogliersi, riflettere, trovare o attendere le parole. “È un topos outopos, spazio-non spazio”, “un luogo di solitudine ma anche di creazione, di elaborazione”[2]. Come sottolineava il filosofo Giorgio Agamben in una raccolta di saggi su “La parola e il fantasma nella cultura occidentale” curiosamente intitolata Stanze, il fascino semantico della stanza sarebbe triplice, designando nello stesso tempo “l’ambiente in cui il poeta si ritira per creare, lo spazio della dinamica interiore da cui la parola poetica scaturisce, e la forma che essa assume traducendosi in scrittura”.
Se la “stanza” dopo Dante non indica più solo lo spazio in cui il poeta elabora la propria ispirazione e il proprio “fantasma”, ma è anche il nome della forma poetica finale, della poesia stessa, essa è il luogo simbolico di un andirivieni tra interno e esterno, tra visitazione e offerta, tra l’interno più visionario e privato e l’esteriorità più pubblica, proprio come lo strano destino e la buffa peripezia, oggi quasi derealizzata, che è fare e pubblicare testi, fare e mostrare opere, etc. etc.
Ammesso che l’entrare in una stanza non sia stato già da sempre un modo per uscire, la ricerca di un’estasi.
Estasi: uscire in un’entrata senza fine.
Cosa accade quando questo spazio, mantenendo la sua vocazione di luogo di ricerca, di creazione, di visioni e di esposizioni, diventa condiviso, diventa un luogo “comune”?
È quello che vogliamo cercare di scoprire con stanza.cloud, una stanza, abbiamo scoperto, che è essa stessa una nuvola.
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L’inaugurazione della Stanza, luogo per le arti, avverrà nei giorni 18 e 19 novembre con un duplice evento. Il vernissage di una mostra collettiva dal titolo Stanze – Ci sono cieli dappertutto, venerdì 18 dalle ore 18, sarà replicato il giorno dopo, sabato 19 dalle ore 12, con un reading di poeti e scrittori sullo stesso tema.
Gli artisti che hanno lavorato per la Stanza sono: Andrea Aquilanti, Gianni Dessì, Mariana Ferratto, Luigi Ghirri, Marco Tirelli, Cathy Josefowitz, Gianni Leone, Elly Nagaoka, Giulio Paolini, Stefano Di Stasio, Paola Gandolfi, Laura Palmieri, Federico Pacini.
Gli scrittori e i poeti che offriranno la loro idea di stanza in un reading (venerdì sera e sabato a mezzogiorno) sono: Brunella Antomarini, Carlo Bordini, Maria Grazia Calandrone, Claudio Damiani, Gianni Fontana, Lindo Fiore, Mia Lecomte, Sandra Petrignani, Lidia Riviello, Beppe Sebaste, Gianni Fontana, Sergio Zuccaro etc.