
È un bel po’ che non posto nulla in questo blog a cui tengo tantissimo. Lo faccio oggi parlando di terremoti, e spero di “mantenere la parola” con grazia. Il 3 dicembre alle ore 15 si svolge infatti nella Stanza-Ci sono cieli dappertutto di Narni un incontro-seminario con due amici geologi e sismologi, ricercatori all’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia dell’Univ. di Roma: Valerio De Rubeis e Patrizia Tosi. Parleranno rispettivamente (il primo) di I movimenti della terra (“l’estensione dei limiti temporali offerta dalla geologia mostra aspetti della terra difficilmente sperimentabili nel vivere quotidiano. Le tracce lasciate dai vari fenomeni, dove il tempo diventa spazio, mostrano il profondo intreccio tra casualità e armonie nell’evoluzione dei processi geologici”), e la seconda di Gli scuotimenti della Terra e i loro suoni (“le onde sonore si possono considerare la controparte atmosferica delle onde sismiche e attraverso esse è possibile comprendere alcuni aspetti del terremoto. Il nostro udito ha infatti un’enorme sensibilità e attraverso il suono possiamo percepire differenze molto sottili che sfuggono agli altri sensi”.
Questo incontro si svolge nell’ambito della mostra in corso, Fatti di terra, di cui le immagini che accompagnano questo post fanno parte. Quanto alla Stanza, che è un “luogo (bellissimo) per le arti”, è la ragione principale della mia latitanza e silenzio: semplicemente, le ho dato quasi tutto il tempo. Nel sito www.stanza.cloud ci sono vari testi, sul luogo stesso e sulla mostra in corso, che fa parte di un progetto, o di un’idea a lungo termine, dal nome Lessness, proprio come il titolo di un racconto di Samuel Beckett. Per noi significa l’arte del fare a meno, o “l’essenziale” (che “manca” sempre proprio perché non è una cosa, ma una qualità e uno stile). Fatti di terra è il titolo del primo capitolo del progetto, e fino al 13 gennaio c’è una mostra con questo titolo (opere di Gianfranco Baruchello, Paolo Canevari, Gea Casolaro, Primarosa Cesarini Sforza, Daniele De Lonti, Costanza Ferrini, Lindo Fiore, Andrea Fogli, Ines Fontenla, Luigi Ghirri, Hans-Hermann Koopmann, Luo Guixia, Salvatore Piermarini, Claudio Pieroni, Silvia Stucky, collettivo Ticon3, Naoya Takahara, Marco Tirelli).

Rimando, per la mostra e per il progetto Lessness ai testi pubblicati nel sito della Stanza. Riporto invece qui il testo del mio piccolo contributo a un articolo degli amici geologi citati sopra, il cui immenso merito è di essere inventori e curatori del sito www.haisentitoilterremoto.it, divenuto nel corso degli anni un importante punto di riferimento e di incontro tra la comunità scientifica e i cittadini. Su cui ha scritto anche, tra l’altro, Davide Orecchio sulla rivista pagina99. Eccolo
Contributo di B. S. all’articolo “Earthquake ethics through scientific knowledge, historical memory and societal awareness: the experience of direct internet information”, di De Rubeis, V., P. Sbarra, P. Tosi, and B. Sebaste (2015); pubblicato in inglese in S. Peppoloni and G. Di Capua (Eds.), Geoethics: the Role and Responsibility of Geoscientists, Geological Society, London, Special Publication, 419, doi:10.1144/SP419.7
Difficile non ammettere che il terremoto sia percepito dal senso comune della gente come un dis-astro e null’altro, un deragliamento dai binari, dal corso naturale degli eventi; come un evento imperscrutabile ed esclusivamente ostile, alieno, come se venisse da un altro spazio, o come una sorta di capriccio venuto da una Natura “matrigna”. Oppure ancora come se si trattasse di un imperdonabile atto terroristico da parte di ignoti incarnati dalla Natura stessa – dalla terra, o dalla Terra. Il senso comune non riesce cioè a sottrarsi al sentimento di passività e ineluttabilità, ma soprattutto di estraneità, che le conseguenze del terremoto gli suscitano.
Uno dei primi importanti effetti del questionario posto sul sito www.haisentitoilterremoto.it è abolire questa distanza, far acquisire una familiarità con la natura dei terremoti, creare delle relazioni naturali tra i moti della terra e i moti dell’anima umana (andare, in un certo senso, all’origine stessa di questa parola, di questa metafora, di questo paradigma).
La maggior parte della gente non riesce a distinguere tra il fenomeno naturale del terremoto e le sue conseguenze eventualmente disastrose. Non riesce a distinguere cioè tra la natura e la naturalezza dei moti della Terra e le conseguenze a volte disastrose causate dai modi inconsapevoli dell’esistenza umana. Un terremoto nella giungla o nella foresta è uno spettacolo affascinante di alberi che oscillano in una danza meravigliosa, e dopo il silenzio di tutti gli animali segue il ritorno all’usuale brusìo, come dopo un’interruzione e nient’altro. Viceversa lo stesso terremoto tra le strade e le case fitte e mal costruite di una megalopoli sembra invece, coi suoi inevitabili crolli, una punizione divina a cui non possiamo che rassegnarci e perire. Un terremoto disastroso sembra inoltre sempre avvenire per la prima volta, anche se nello stesso luogo è avvenuto tantissime volte, frequentissime per il calendario della natura (zona sismica) ma troppo remote per l’ignoranza e le abitudini mentali dell’uomo.
Occorre dunque aumentare la consapevolezza naturale e geologica dell’uomo, ma anche la sua consapevolezza storica, suggerendo riferimenti anche temporali più prossimi a quelli della natura.
C’è un verso del poeta Vladimìr Holan che dice: “soltanto ciò che trema è solido”, ciò che vacilla. La terra trema, la terra è solida, ma il verso di Holan contiene suggerimenti per una ridefinizione del coraggio, dice che anche il cuore è solido quando non si vergogna di vacillare, quando accetta la paura, e convive con essa. Convivere con l’esperienza del “tremore e stupore” (Kierkegaard), senza sfidare la fisica terrestre con inutile e sciocca presunzione, significa apprendere dalla Terra stessa l’arte della flessibilità, di cui oggi curiosamente si vantano i meriti nel sociale, ma meno nella realtà fisica da cui il concetto proviene e prende forma, e nella psicologia.
Il sito www.haisentitoilterremoto.it è tutto questo. E’ un’occasione di educazione e di consapevolezza che, se aiuta i sismologi ad avere più informazioni per operare e orientare gli aiuti, aiuta ancora di più ad allargare la coscienza dei cittadini, a conoscere la Terra e se stessi, il proprio abitare, la natura e il suo incontro col fare dell’uomo. Aiuta a governare la nostra paura di vacillare e tremare, a renderla “naturale”.
Ricordando che la parola terra è un mantra, e quindi è già una poesia, chiudo questo post con la beata serenità dei cavalli lungo le faglie del terremoto (frontiera di Marche, Abruzzi e Umbria) nella foto del grande Salvatore Piermarini:
