Teatro e fantasmi. Per salutare Mario Prosperi e ricordare il Politecnico

Mentre apprendo adesso della scomparsa di Renato Mambor, io sono ancora rimasto al 19 novembre: ero già in India quando è morto Mario Prosperi, uomo di teatro – attore, regista e drammaturgo – intellettuale colto e impegnato. Mi dispiace molto, e mi dispiace immensamente anche per Rossella Or, colla quale Mario ha vissuto un lungo sodalizio nel lavoro e nella vita.
Ritrovo, per ricordarlo, un articolo che scrissi su una passeggiata con lui lungo l’itinerario dei teatri fantasma di Roma, i teatri chiusi e scomparsi.  Il fenomeno mediatico del “Valle occupato” doveva ancora esserci, pochi si curavano della fenomenologia della sparizione dei teatri, del fatto che il numero dei morti superasse di gran lunga quello dei vivi. Dove vanno le memorie dei teatri? Pensateci: come si presenta un teatro fantasma, che già al suo nascere è un caravanserraglio di fantasmi?
Mario Prosperi fu molto abbattuto dallo sfratto, cioè dalla scomparsa, del Teatro Politecnico che lui per anni generosamente aveva gestito e fatto vivere, o sopra-vivere. Al punto che la scomparsa di Mario e la scomparsa del Politecnico nella mia testa quasi adesso si sovrappongono, anche se i suoi ultimi anni sono stati intensissimi di lavoro, di idee, di teatro.
Quello che segue è l’articolo istigatomi da Mario che uscì l’11 ottobre 2008. Il titolo redazionale fu: “Addio Politecnico, ultimo palcoscenico di un’avanguardia poetica e gioiosa”. Per Mario.

Mario_Prosperi

Scrissi anni fa in un racconto: «Avevo dimenticato il Teatro Politecnico, e gli alti, vertiginosi palazzi che ne circondano il cortile d’entrata. Ci andavo tanti anni fa a prendere un’attrice, giovane quasi come me e già orfana di un mondo, l’avanguardia teatrale degli anni ’70. Lei recitava ragazza al Beat 72, io volevo essere un poeta beat (…) e forse pensavo a lei quando più tardi dissi questa frase: sei un prato di periferia che è sopravvissuto. Quando imparai che a brillare di più sono le stelle spente. Anche il Politecnico ha l’aria di uno spazio superstite, e dimenticare, oggi, si dice “salvare in memoria”…». L’attrice in questione è Rossella Or, che ha percorso ogni via: il “teatro immagine”, concettuale, quello analitico-esistenziale e il teatro di parola, e da anni va in scena al Politecnico. Lo aprì nel 1974 il coltissimo drammaturgo, regista e attore Mario Prosperi (già sceneggiatore de l’Odissea e l’Eneide televisive), con un testo dal titolo Frantz Fanon psichiatra in Algeria (da un capitolo de I dannati della terra). Ristrutturato negli anni, è nell’elenco dei teatri storici da salvaguardare. Ieri vi sarebbe iniziata una rassegna dal titolo “L’Islam e noi”, patrocinata dal Comune di Roma (primo spettacolo, I fiori del Corano di Marc-Emmanuel Schmidt). Ma la sala di via G. B. Tiepolo (Flaminio) è stata sigillata dall’ufficiale giudiziario dieci giorni fa. Mario Prosperi non può rientrare a recuperare le sue carte. Non scompaiono solo gli insegnanti, le scuole, forse i giornali, ma da anni i teatri. Il loro elenco sul giornale, un tempo, era una pagina. Ora si dà quasi per scontato che il teatro non esista più. Sparito quello “di ricerca”, le “cantine” inventate negli anni Sessanta sull’esempio di Carmelo Bene. Ora, se fare teatro è già in sé avere a che fare coi fantasmi, che ne è di quelli spenti, chiusi e abbandonati?

Da tempo pensavo di commemorare i teatri scomparsi, i teatri fantasmi, non in cerca d’autore, ma di destino. Ma teatro è anche da sempre simbolo di democrazia, come la piazza. Cosa resta di quella democrazia proliferante, disseminata, dei teatri che hanno fatto il fervore di un’ epoca, quegli anni Sessanta e Settanta che non furono di piombo ma di carne? Lo scorso maggio, all’università la Sapienza, un convegno coordinato da Silvia Carandini era dedicato alle “Memorie dalle cantine. Teatro di ricerca a Roma negli anni ‘60 e ‘70”, con la partecipazione di testimoni e protagonisti, Mario Prosperi e Rossella Or compresi. Ironia della sorte, il convegno si teneva al glorioso Teatro l’Ateneo (vi venne tra gli altri il Living Theatre), oggi chiuso e spento.

Oltre al Politecnico, sono chiusi o in procinto di esserlo il teatro di Ostia Lido, il Tordinona, forse il Vittoria. Che si aggiungono a un elenco molto lungo. Eppure, dal Teatro Laboratorio di Carmelo Bene – nel cortile al n. 23 di Piazza San Cosimato, chiuso nel ’63 dalla polizia per atti osceni – i teatri ricavati da cantine, cortili e garage furono una sperimentazione vitale di espressioni e linguaggi senza cui non si sarebbero sviluppati la poesia, il cinema, la danza. Personalmente conto tra i primi incanti estetico, sorta di risveglio, l’odore di sandalo emanato dal corpo di un’attrice in scena, che mi rivelò l’evidenza della natura fisica, erotica del teatro.

È nei piccoli teatri che si percepisce il volto – mi dice Prosperi – «il primo piano degli attori come al cinema, il loro respiro e tremore». Il nostro pellegrinaggio inizia col Beat 72, al civico 72 di via G. B. Belli, di fronte al Visconti Palace. Lo inaugurò nel ’66 Carmelo Bene conNostra Signora dei Turchi, Rossella Or vi debuttò inPirandello chi? di Memè Perlini nel ‘73. Lo gestivano Simone Carella e Ulisse Benedetti, organizzatori del primo festival di poesia a Roma. Chiuso nel ‘91, ora c’è uno studio di architetti, leggo sotto il citofono. Ricordo i muri bianchi e la moquette rossa. Rossella si ricorda il buio, e nel buio il palcoscenico prospettico e i tre piccoli archi. Lì vicino c’era l’Alberico. «È nato un altro teatro a Roma, è in via Alberico II, prima il locale era un garage, adesso è un luogo doppiamente usabile: al piano terreno una sala grande, sotto, nella buca che serviva per lavorare sotto le automobili, è scavato un altro spazio…». Così, il 30 dicembre 1975, il critico de l’Avanti! salutava il debutto teatrale di Roberto Benigni. Nella “buca”, detta Alberichino, Benigni recitò il monologo Cioni Mario, di Giuseppe Bertolucci. Oggi è un ristorante con musica dal vivo, funky e dance, bancone hitech. Vi vennero lo Squat Theatre di New York con Andy Warhol, Last Love, e tanti protagonisti del teatro d’avanguardia. Frazione del Beat 72, era gestito da Bruno Mazzali e Rosa de Lucia. La chiusura dell’Alberico, ricorda Prosperi, fu voluta scandalosamente nell’ 82 dall’ allora ministro dello Spettacolo, il democristiano D’Arezzo, per farne lui un banale ristorante. Mazzali e De Lucia aprirono il Trianon, con Leo De Berardinis e Perla Peragallo, e il gruppo Odradek di Gianfranco Varetto (allievo di Ripellino). Oggi il Trianon è un cinema multisala, come l’Intrastevere – anch’esso un tempo teatro dove Remondi e Caporossi fecero cose importanti. Ma finché è il cinema a soppiantare il teatro, in fondo è una cosa “naturale”, e forse una nèmesi per chi, come Memé Perlini, faceva teatro pensando in realtà al cinema. Siamo ora in via Benzoni 53, una rientranza della strada che costeggia le ferrovie, sotto la Garbatella. Qui c’era La Piramide, aperta da Perlini alla fine degli anni Settanta, chiuso dieci anni dopo. Per un lungo periodo in quell’ex garage non vi fu nulla. Ora è una palestra. E a proposito di nèmesi: pare che lo storico palazzo sul Lungotevere Tor Di Nona, che ospita ora l’Istituto della Provincia per le case popolari, di fronte al Palazzaccio, diventerà un albergo di lusso. È la ragione dell’annunciata chiusura del Teatro Tordinona, sul retro del palazzo, via degli Acquasparta. Chi voglia provare qualche sensazione legata ai vecchi teatri scenda le scale e assapori la qualità del silenzio. Questo luogo appartato, inaugurato da Pirandello, dal ’79 è diretto da Renato Giordano. Vi andò in scena Paul Newman. Vide prime mondiali di Tennessee Williams e di Fassbinder. In via Sicilia 57-59, traversa di via Veneto, c’è la palazzina bianca, stile razionalista come la Sapienza (è della stessa epoca), del Teatro delle Arti. Fu qui che il giovane Carmelo Bene presentò il Caligola di Albert Camus nell’ottobre 1959, sotto lo sguardo entusiasta di Anton Giulio Bragaglia, geniale artista che condusse il teatro dagli anni ‘30 (e prima ancora il Teatro degli Indipendenti). Il Teatro delle Arti è stato chiuso negli anni 90, e da allora abbandonato al nulla.
«Il teatro è un mistero», mi dicono Mario Prosperi e Rossella Or alla fine della passeggiata. «Quando pensi che sia morto rinasce. Riappare e diventa popolare quando la società è a pezzi. Non ha continuità, esiste a sprazzi, come i temporali. Come a Weimar, un paese morto e un teatro che mai fu così vivo. Il teatro è importante nei momenti di crisi. Non ha bisogno di grandi mezzi produttivi come il cinema, è libero, immediato, anarchico, straordinariamente fresco e vicino agli eventi».

3 commenti

  1. Bellissimo ed eloquente articolo, complimenti!
    Mi piacerebbe molto conoscere la biografia di Rossella Or. Su Wikipedia non ho trovato granché. L’ho molto apprezzata in “Estate romana”.
    Un saluto
    Annamaria Lorefice

    1. effettivamente c’è poco si di lei. precede Internet, ed è rimasta esclusa, oltre che orfana, di molte situazioni un tempo assai vive… in questo, assomiglia molto alla situazione di molti artisti e anche scrittori…

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