Tutti i maestri che cadono (una poesia)

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Negli ultimi mesi quando ero in viaggio (in treno, al bar, ovunque) anche solo per pochi minuti aprivo il portatile e aggiungevo o correggevo qualche parola di questa poesia che considero provvisoriamente finita, e che non so giudicare. Ho voglia di leggerla a voce alta, liberarla nell’aria, che è vero il modo di dar vita alle parole. (P.S. Detesto questo carattere e questo corpo. Non so cambiarli. Se qualcuno sapesse e volesse insegnarmi a farlo sarei molto grato)

Tutti i maestri che cadono

“un cavalier ch’a piè venìa”
(Ludovico Ariosto, Orlando furioso)

(Il maestro sa, insegna, rivela, trasmette, è capace di,

traghetta i discepoli alla natura autentica, alla

natura autentica. E se fallisse? Se non fosse capace?

Se il maestro cadesse nella polvere, ad esempio, se venisse

inchiodato a una croce?)

 

La parola che precede il verbo all’inizio della frase (“la

parola”) resta il soggetto dell’azione anche

quando muore o fallisce, come

un maestro che fallisce e offre il proprio esempio

resta sempre un maestro come

una vita che muore resta una vita

vissuta e vibrante

anche se all’inizio della frase

già comincia a mancare

 

Un morto resta un morto anche quando parla

l’audace che ha paura resta coraggioso come

all’inizio della frase,

così come la prima parola di una frase che ha paura

e fallisce resta sempre una frase

e una frase che fallisce resta

audace

 

Le prime parole di una frase che fallisce

non si possono togliere

senza le prime parole che falliscono e cadono

non ci sarebbe nessuna frase,

senza la prima parola qualunque frase

cade (e dove cade?)

 

Una frase fallita è sempre una frase una frase una frase

come una rosa è una rosa una rosa,

una rosa che nasce o una rosa morta

restano sempre una rosa, una

parola, così come

un Dio assente è sempre Dio, vibrante

e presente dappertutto

non solo all’inizio della frase

Dio della presenza che ovunque è soggetto di ogni frase,

anche di quelle che sembrano

poterlo contenere

 

Questa poesia ama l’errore e sostiene

la necessità dell’inizio di una frase

il paradosso di un fondamento anarchico

contro la brutalità del buon senso che vorrebbe

la non esistenza della poesia e dell’errore

l’inesistenza della non-esistenza e del non essere

stesso, mentre si sa che il non-essere

è esso stesso una modalità dell’essere, come

il fallire è una modalità del riuscire e la vittoria

una forma di sconfitta

 

Guarda laggiù, un cavalier che viene a piedi,

quando sopraggiunge non è forse più un cavaliere?

La prima parola di quel verso e il suo significato

cessano forse di esistere quando si arriva

alla terza, quarta parola del verso?

Scompare anche la frase, come il cavallo?

Un cavaliere che va a piedi

non cessa di essere il soggetto della frase

e resta un cavaliere anche senza

il cavallo, anche

senza parole

 

Non è anzi più cavaliere colui che insegue e dice

e invoca il suo cavallo?

La parola che dice la ricerca del cavallo

non è ancora più parola, come

la parola che dice il cavaliere che resta cavaliere

all’inizio della frase, anche senza cavallo?

E cosa dice?

“Eccomi!”, dice il cavaliere venuto, anzi sopraggiunto

a piedi, “io ci sono, eccomi qui!” – e la frase

non cade anche se fallisce già

all’inizio della frase,

anche se la frase dice

che fallisce e sembra

che cada.

E se anche cadesse?

 

Non resta sempre una frase – come il Maestro che fallisce

resta un maestro in ogni fallimento –

la frase che sostiene tutte le parole e le frasi

che seguono, anche se fallisce?

Come un uccello che non vola, come

un fuoco spento, come un fuoco che cade

all’inizio della frase, come

una stella spenta, cadente e per questo

luminosa, come luminoso

è l’esempio del Maestro che cade come

una stella, e resta Maestro anche quando fallisce

il suo compito più alto,

essere un esempio che trascina

un esempio da seguire per non fallire mai,

per riuscire anche quando realizza il suo compito più alto

che è il fallire stesso, come

se fallire non fosse più uno dei modi di cadere

ma il cadere stesso, come se cadere

fosse uno dei modi luminosi

di riuscire

 

come se riuscire non fosse già l’inizio della disgrazia

che ci porta al più buio e luminoso dei successi

l’inizio della luce della stella spenta

che non cessa di cadere e illuminare,

così come

le parole che cadono, come queste, come

se non fossero queste frasi che si rompono a far cadere

le parole, e quindi è certo,

esistono i fuochi spenti ed eccolo, lo vedi

anche tu, lo scrivi, “fuoco spento”:

non resta sempre “fuoco”, anche

su questa pagina?

 

Lo vedi, la parola fuoco continua ad ardere

anche se la fai seguire dalla parola “spento”,

come il cavaliere a piedi che cerca e forse

non cerca il suo cavallo, e continuerà a cercarlo,

e a giocare nel bosco

 

come un maestro che fallisce e cade in mille pezzi

e i discepoli pendono dalle sue labbra,

dal suo esempio,

anche se lo devono raccattare e prendersi cura,

un maestro spento a piedi che non vola (ma ne siete

sicuri?), scarpe rotte eppur bisogna andare,

come quel verso straordinario l’armata rossa

un cavalier ch’a pié venia anzi

sopraggiungeva

nella radura in mezzo al bosco fitto

 

come Orlando che non ha più il senno come

il rosso sol dell’avvenire che sorge come

la rivoluzione a piedi

un cavaliere una rivoluzione che sopraggiunge

in cerca di un cavallo (“almeno un cavallo è umano”,

scrisse il sublime J. D. Salinger)

come un maestro che muore e per questo rinasce

e insegna a fallire, la più luminosa delle

riuscite

[…]

 

Postilla

Forse che le prime parole della frase o del verso –

scarpe rotte

cavaliere a piedi

rivoluzione comunista

scompaiono dopo averle dette, lette?

E che ne è delle ultime (del comunismo, per esempio)?

un cavaliere che va a piedi non è forse più cavaliere di un altro cavaliere

a cavallo? più rivoluzionario? così come (scrive Elio Vittorini)

l’uomo che ha fame è più uomo di un

altro uomo)

“un cavalier ch’a piè venìa”, di quale trionfo

è soggetto?

come un uomo che ha fame come un maestro che

fallisce si spegne e scompare nel nulla, nella polvere

come un saltatore che cade un nuotatore che si ferma

un cavallo azzoppato che si mette a brucare l’erbetta,

come una poesia non riuscita,

sono forse queste parole da cancellare, delle parole

vuote? Sono loro

la poesia?

Essere o non essere non è mai un problema

essendo il non-essere modalità dell’essere

e l’assenza modalità della presenza dell’altro

in quanto altro.

Quanto al fallire è la modalità del riuscire

del maestro in quanto maestro che insegna,

radicalmente, il dono di sé

senza riserve

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