Un ricordo: Fellini vs Berlusconi (e contro i Salvini di oggi)

ginger e fred

Forse è stata solo una mia distrazione, ma in questi giorni così densi di celebrazioni del grande Federico Fellini nel centesimo anniversario della sua nascita, non ho letto né visto nulla che rievocasse la grande battaglia culturale condotta in solitudine da Fellini negli anni ’80 (lo sostenne, per un periodo, solo Walter Veltroni) contro lo strapotere finanziario di Berlusconi e il cinismo della sua azienda rispetto al cinema d’autore. In breve: dopo aver comprato dalla Rizzoli Film (in crisi) una sessantina di film d’autore a un prezzo irrisorio (tra cui film di Fellini), le tv di Berlusconi li trattarono come repertori di immagini da interrompere a piacimento con inserzioni pubblicitarie. Nessuna legge, all’epoca, tutelava i film d’autore come opere d’arte di cui non è lecito interrompere o alterare il ritmo narrativo (e ignoro, confesso, se a tutt’oggi una legge che li tuteli esista).

Pochi si accorsero (e forse pochi ricordano) che si trattava (si tratta tuttora) di una vera e propria battaglia culturale e politica, forse l’unica o una delle pochissime condotte in Italia negli ultimi quarant’anni. Le tv di Berlusconi spezzettavano e interrompevano un patrimonio di narrazioni cinematografiche: “non si interrompe un’emozione” fu uno degli slogan di questa battaglia. Ma Fellini andò molto più in là, toccando temi drammaticamente attuali.

La sua battaglia, disse lui stesso, voleva anche essere in difesa dello spettatore, ormai sottomesso alle interruzioni pubblicitarie, “a un linguaggio singhiozzante, balbettante, a sospensioni dell’attività mentale, a tante piccole ischemie dell’attenzione che alla fine faranno dello spettatore un cretino impaziente, incapace di concentrazione, di riflessione, di collegamenti mentali, di previsioni, e anche quel senso di musicalità, armonia, che sempre accompagna qualcosa che viene raccontato…” (F. Fellini). Da parte di Berlusconi si scatenò un volgare e arrogante dileggio verso il “dottor Fellini”. Dalle sue tv arrivò a dire che le pubblicità trasmesse dalle sue televisioni erano più belle dei film di Fellini, e asserì che il pubblico era ormai abituato (leggi: assuefatto) alle interruzioni pubblicitarie. Non credo che Salvini avrebbe detto di meglio, né di peggio.

Quello che Fellini pensava di Berlusconi e della sua volgarissima “videocracy” è visibile nel suo profetico capolavoro, Ginger e Fred, che uscì quello stesso anno 1986. Ricordo il palinsesto e l’allucinante fiera umana e non di quello studio luccicante, e le immondizie svolazzanti sotto gli enormi manifesti pubblicitari dei prodotti Salamoni sui muri fuori dagli studi televisivi. Fellini: “che ormai lo spettatore si sia assuefatto al costume della pubblicità, non vuol dire riconoscere ufficialmente il potere di plagio della televisione?” Ma nella sua battaglia a Fellini premeva sottolineare la progressiva “incapacità degli spettatori televisivi a prestare un minimo di attenzione a chi sta parlando, l’incapacità a farsi sedurre, incantare da una storia”. Persino l’assuefazione alla pubblicità era difesa come un merito o una libertà, come se fosse qualcosa di cui prendere rispettosamente atto. Non ci sono dubbi sulla politicità di questa battaglia i cui avversari sono oggi ininterrottamente gli stessi, quelli che hanno riversato napalm su tutti i beni comuni, dalle scuole al cinema, dall’etica pubblica all’educazione, dalla memoria all’accoglienza, perfino ormai sulla vocazione spirituale e religiosa della Chiesa impegnata alla difesa dei diritti umani.

P.S.: Per saperne di più: “Fellini non ferma Berlusconi”, art. del 1°-8-1986 ;F. Fellini, Per chi odia la televisione ripubblicato in «Il Patalogo», n. 8/9, 1986; documentario Di me cosa ne sai di Valerio Jalongo (2009).